Fra i monaci basiliani del Medio Evo
A capo del Monastero vi era l’Abate egumeno, quindi, il grande economo, incaricato dell’amministrazione dei beni e delle rendite; il dochiario che aveva cura dell’albergo degli ospiti e di tutti gli oggetti preziosi che costituivano il tesoro della chiesa e del monastero; il bibliotecario, il nosocomo o infermiere e il cellario o dispensiere.
“Davanti a me ti presentasti Tu, venerabile Gerasimo, e, udita la tua petizione, ti diedi e concessi, in questa isola di Sicilia de Sancto Nicono, occasione et causa di edificare una Chiesa con annesso Monastero dedicato al Santo Corifeo Apostolo Pietro in casali vocato et nominato Gitala, per costruzione ivi del predetto Monastero, dedicato al Principe degli Apostoli, per abitazioni monastiche, nelle quali abitazioni devesi celebrare culto divino, nella forma e tradizione in uso nella stessa isola di Sicilia”: questo l’incipit del diploma di fondazione del dicembre 1092, sottoscritto per il normanno Gran Conte Ruggero d’Altavilla da Roberto di Auceto e Antonio de Lamensa. Il monastero dei Santi Pietro e Paolo d’Itala era uno dei 43 monasteri dipendenti dall’Archimandritato del SS. Salvatore in “linguae phari” di Messina, sorto nel 1131. Nel 1328 ospitava 10 monaci ed era considerato un monastero fiorente e ricco. L’Abate investito del titolo di Barone di Alì e Itala con diploma di Federico III d’Aragona, divenne commendatario nel 1398, cioè nominato dal sovrano ed ebbe il 17° posto nel Parlamento di Sicilia con diritto al voto. Nel 1528 fu Abate un certo Antonio Peronotto, Cardinale di Granvelle e ministro di Filippo II.
Per la costruzione del monastero e del tempio Ruggero concesse vaste possessioni al primo Abate Gerasimo, lo esentò da qualsiasi tributo ed unico obbligo era quello di dare in omaggio, ai re di Sicilia, della frutta e dell’olio.
La chiesa e annesso monastero furono costruiti nel 1093 nel luogo dove, secondo la tradizione locale, avvenne una battaglia tra arabi e normanni con la vittoria di quest’ultimi. L’edificazione avvenne ad opera di maestranze locali e artigiani arabi, usando la “tecnica dell’armamento interno mediante canne e con la decorazione dei capitelli, eseguita non a stecca o a mano libera, ma ad impressione o a stampo, mediante matrici di legno” (Stefano Bottari). Nel 1925 la chiesa rischiò la demolizione perché le originarie strutture erano occultate da superfetazioni seicentesche e con l’intenzione di ricostruirla con criteri antisismici; fu grazie al prof. Enrico Calandra che venne salvata. Iniziati gli interventi di consolidamento, purtroppo andarono perdute le sei colonne originali che dividevano la chiesa in tre navate (quelle attuali sono copie in cemento armato rivestito). Originali rimangono l’impianto basilicale, la facciata e i prospetti laterali. Sul transetto imposta una cupola che poggia su due tamburi quadrati sovrapposti. Le due fiancate della chiesa sono riccamente decorate con elaborati archi in mattoni a tutto sesto intrecciati che formano archi a sesto acuto trilobato.
Nel corso della demolizione e ricostruzione interna della chiesa vennero rinvenuti frammenti di gesso con decorazioni a figure, utilizzati come materiale da costruzione. I frammenti furono recuperati dal prof. Enrico Calandra e dal prof. Francesco Basile e consegnati al Museo, allora Nazionale, di Messina, dove oggi si conservano. Questi frammenti, dei quali Stefano Bottari pubblicò i disegni eseguiti nel 1931 da Riccardo Simeone, raffigurano una scena di combattimento tra un guerriero normanno, riconoscibile dall’armatura a fitte maglie con stretta tessitura e dall’elmo e due arabi, anch’essi con armatura ma a maglie più larghe e copricapo tipicamente islamico. Il guerriero normanno afferra con una mano le briglie di un cammello sulle cui gobbe è in piedi un avversario in atto di scagliare la lancia, e con l’altra alza lo spadone per difendersi. Nello stesso tempo l’avversario, facendosi schermo con lo scudo, drizza la lancia per colpirlo. In altro frammento un guerriero arabo isolato combatte in mezzo alla mischia di normanni, cavalli e cammelli. Un capitello, infine, raffigura la scena di un corpo a corpo fra due guerrieri, arabo e normanno. Tutte le decorazioni, presentano scudi normanni lanceolati in basso.