5000 anni di Storia, Arte e Cultura nella struttura museale di Viale della Libertà
Il primo Museo messinese nasce nel 1806 per iniziativa di Carmelo La Farina, socio della Regia Accademia Peloritana e padre del più conosciuto storico Giuseppe. Nel 1852 Carmelo La Farina moriva quando il Museo era già dotato di due grandi gallerie di quadri, una stanza con biblioteca e varie antichità, due sale di sculture e lapidi e un ricco Gabinetto di Storia Naturale. Nel 1880 si decise di trasferirlo nel vasto monastero annesso alla chiesa di San Gregorio e a tale scopo furono iniziati i lavori per la ristrutturazione. Il terremoto del 28 dicembre 1908 distruggeva in parte la chiesa, e, i reperti esposti e tutto quello che rimaneva del ricchissimo patrimonio artistico e monumentale di Messina, venivano trasportati e custoditi nei locali della ex filanda Mellinghoff e nell’area di ciò che restava del Convento basiliano del Santissimo Salvatore dei Greci nell’attuale Viale della Libertà. Il 26 novembre 1914, con Regio Decreto, l’ex filanda diveniva Museo Nazionale che nel 1916 veniva statalizzato. Nel 1954 fu riordinato dall’allora direttrice Maria Accascina e nel 1974 venne redatto il progetto per l’edificazione del nuovo Museo dagli architetti Carlo Scarpa, veneziano, e Roberto Calandra, messinese, che non avrà seguito. Nel 1976 fu dichiarato Museo Regionale e nel 1982 l’Assemblea Regionale Siciliana predispose il finanziamento per la progettazione e costruzione del nuovo Polo Museale su progetto degli architetti Basile, Manganaro e De Fiore. Nel 1991 fu avviato l’allestimento, che è quello attuale, ad opera dell’architetto Antonio Virgilio che vi lavorò fino al 2006. Il 9 dicembre 2016 il Museo Regionale di Messina nel Viale della Libertà, fu ufficialmente inaugurato.
Sono esposti reperti scultorei, sarcofagi, vasellame che vanno dal 2800 a.C. fino all’Età imperiale romana (27 a.C. – 476 d.C.).
Fra questi, notevoli l’idoletto cicladico ad ansa di violino (2800 – 2700 a.C. - III Millennio a.C.), da assimilare alle veneri steatopigie, dee madri della terra e della fecondità del Paleolitico Superiore e del Neolitico; vasi e corredi di tombe (VIII – V sec. a.C.); una lapide marmorea in calcare conchiglifero locale con iscrizione osca di epoca mamertina (III sec. a.C.) attorno alla quale, a causa della difficile decifrabilità, nacque la leggenda della Trovatura di via Cardines; la statua di Igea, Dea della salute (I sec. d.C.); un ritratto scultoreo di “Stratega” (I sec. d.C.); un rostro bronzeo di nave (36 a.C.); un sarcofago marmoreo con centauri e centauresse di epoca ellenistico-romana (323 a.C. – 340 a.C.); un sarcofago marmoreo con Dedalo e Icaro (metà del III sec. d. C.) e l’epitaffio degli Avilli di età imperiale romana (27 a.C. – 476 d.C.).
Durante i lavori per lo scavo delle fondazioni del nuovo Museo fu rinvenuto il locale ipogeico con i sedili per l’essiccazione dei defunti monaci basiliani. Con l’editto di Saint Cloud emanato da Napoleone il 12 giugno 1804, si stabilì che le sepolture venissero poste al di fuori delle mura cittadine per motivi igienico-sanitari. A Messina, così, venne eretto il Cimitero Monumentale, inaugurato nel 1872.
Comprende una ricca rassegna di opere di vario genere che coprono un arco temporale che va dal secolo XII al XV.
Notevoli sono le Iscrizioni arabe (metà del sec. XII) in porfido (rosso) per i decori vegetali e serpentino (verde) per il testo, in caratteri naskhi, provenienti dalla Cattedrale e dalla Chiesa di S. Maria Annunziata dei Catalani; un Fonte battesimale o conca lustrale, firmata da Gandolfo e datata 1134 nel bordo; Capitelli romani e due grandi marmorei del V – VI sec. d.C., di area orientale e riutilizzati in Santa Maria La Nuova, la Cattedrale voluta da Ruggero II nel 1130; il Sarcofago di Luca frutto di officine normanne che utilizzarono un sarcofago paleocristiano (V – VI sec. d.C.) rilavorandolo con la decorazione a nastri, per la tomba di Luca (morto nel 1149), fondatore del monastero del SS. Salvatore “in Lingua Phari”, riformatore e Archimandrita dei monasteri basiliani di Sicilia e Calabria; una Madonna in Trono col Bambino comunemente definita Madonna della Ciambretta in una nicchia a mosaico su fondo oro di autore ignoto bizantino-normanno del XIII secolo, facente parte del patrimonio artistico dell'antica Chiesa di San Gregorio non più esistente; una Vergine Orante, di ignoto bizantino del sec. XII, altorilievo su lastra marmorea proveniente dalla chiesa di San Francesco d’Assisi; una testa di San Pietro in mosaico di ignoto bizantino del XIV secolo proveniente dalla chiesa di Santa Maria della Valle (Badiazza); una Madonna col Bambino detta “Madonna degli Storpi” del senese Goro di Gregorio (1333); un Trittico del Maestro del Dittico Sterbini del sec. XIV raffigurante la Madonna col Bambino tra i Santi Agata e Bartolomeo, tempera su tavola; una Madonna col Bambino di Antonio Baboccio da Piperno (1351-1435) proveniente dal Duomo a coronamento del portale maggiore; un Crocifisso (sec. XIV – XV) di scultore ignoto in legno dipinto, forse di origine iberico-provenzale. Originale il perizoma col motivo a rotuli pergamenacei.
Dominano questo periodo il grande Antonello da Messina con la sua nutrita serie di seguaci, gli “antonelliani”, e la pittura fiamminga che circola in maniera consistente a Messina nella seconda metà del Quattrocento.
Il Polittico di San Gregorio (1473) di Antonello, da lui firmato, fu eseguito su commissione per il Monastero di San Gregorio dalla Badessa suor Fabria Cirino e pagato 6 salme di mosto (1500 chili). Il Polittico è composto da tre tavole inferiori con al centro la Madonna col Bambino in grembo e con ai lati i Santi Gregorio e Benedetto. Le due tavole in alto raffigurano l'Angelo annunziante e l’Annunziata. Di ispirazione fiamminga, quest'opera, per la rigorosa impostazione prospettica, per la straordinaria limpidezza dei colori, per la purezza degli elementi figurativi, rappresenta una delle maggiori opere in assoluto della pittura del '400. Fa da pendant l’altro dipinto di Antonello, una tavoletta bifronte con la Madonna col Bambino e un francescano orante, sul recto, e il Cristo in pietà, sul verso, acquistata nel 2006 da Christie di Londra, e ritenuta opera giovanile. Fra le tante altre opere di questa sezione, un’Annunciazione con S. Eulalia tavola di Giovanni D’Anglia (1497 circa); la Madonna col Bambino, scultura di Francesco Laurana (sec. XV, Croazia); la tavola Madonna del Rosario con veduta di Messina, di Giovanni Salvo D’Antonio (1489); una Madonna col Bambino (XVI sec.) di ignoto antonelliano; la Madonna del gelsomino di Antonello de Saliba (inizio XVI sec.); un Cristo alla colonna, tavola di seguace di Antonello da Messina; una Deposizione dalla Croce di Colijn de Coter (1515-20).
Girolamo Alibrandi (1470-1524), pittore definito “Raffaello di Messina” per aver collaborato con lui a Roma e Antonello Gagini, scultore, sono i protagonisti dell’arte rinascimentale messinese.
Nella Sala di Girolamo Alibrandi si possono ammirare le pregevoli opere di questo pittore, un San Pietro (1515-16); San Paolo (1515-16); Santa Caterina d’Alessandria; il Giudizio Universale (1514); la Madonna in trono con Bambino (1510); la Piccola presentazione al Tempio (1519) e la Presentazione di Gesù al Tempio o Purificazione (1519), opera documentata e proveniente dalla chiesa della Candelora. Ridotta nel terremoto del 1908 in circa 200 frammenti, fu restaurata nel 1922 da Riccardo De Bacci Venuti. Di Antonello Gagini si ammirano le sculture in marmo di Sant’Antonio (1534), il Ciborio del 1504 e una Madonna col Bambino (1507), marmo policromato già nella Chiesa di San Francesco d’Assisi. Pregevoli sono il tondo della Madonna dei Frutti della bottega di Andrea Della Robbia (sec. XV) e il Monumento funebre all’Ammiraglio Angelo Balsamo (post 1507), del carrarese Giovan Battista Mazzolo, decorato a bassorilievo con una scena raffigurante il Trionfo di Anfitrite, chiaramente ispirata alla scultura antica. Dello stesso scultore è una Santa Caterina d’Alessandria (sec. XVI).
Questa sezione espone opere di pittura e scultura che sottolineano e testimoniano il passaggio dal Rinascimento al Barocco. Figura di spicco è lo scultore toscano Giovan Angelo Montorsoli, allievo di Michelangelo Buonarroti.
L’Adorazione dei pastori è un dipinto di Polidoro Caldara da Caravaggio (1533) che giunse a Messina nel 1528, reduce dal Sacco di Roma dell’anno precedente da parte delle truppe dei lanzichenecchi, i soldati mercenari tedeschi arruolati nell'esercito dell'Imperatore Carlo V d’Asburgo. Fra le altre opere esposte, il dipinto Ultima Cena, di Stefano Giordano (sec. XVI); la Madonna dell’Itria, di Alessandro Allori (1590) (Madonna Odigitria, cioè “Madonna del buon cammino”); l’Immacolata Concezione, dipinto di Deodato Guinaccia (sec. XVI) con rappresentate le Litanie lauretane. Dello scultore Giovan Angelo Montorsoli sono da ammirare le pregevoli Noli me tangere ("non mi toccare", frase attribuita a Gesù che l'avrebbe rivolta a Maria Maddalena subito dopo la Resurrezione); Il Nettuno e Scilla, (1557), sculture originali facenti parte della Fontana del Nettuno in piazza Unità d’Italia; la Trinità e un frammento di fontana. Di grande pregio sono i Monumenti funerari di Antonio Marchese-Antonina Barresi (1572) di Rinaldo Bonanno su disegno di Andrea Calamech, quello di Andreotta Staiti di Martino Montanini (1533) e quello di Francesca Lanza Cybo (1618), un’opera di oreficeria secentesca, originariamente ornata con gemme preziose incastonate nei fori attualmente visibili. Fu commissionato dal Lanza per la moglie quindicenne Francesca Cibo, morta di parto, di cui è presente il ritratto a coronamento del monumento. Di Rinaldo Bonanno sono tre sculture: l’altorilievo Natività, la Dama col liocorno, frammento di fontana e un Giovane con anfora, fontana collocata nei pressi della Chiesa di Santa Caterina Valverde. Preziosi sono i Vasi da Farmacia, opere del pittore e ceramista Domenico da Venezia (1562-1568) con scene bibliche, mitologiche e ritratti.
L’area dei caravaggeschi Rodriguez e Minniti si snoda attorno alla sala riservata ai due capolavori di Michelangelo Merisi da Caravaggio, Resurrezione di Lazzaro e Adorazione dei pastori, e si articola fra il primo e il secondo livello espositivo, determinandone peraltro il rapporto di continuità fra il Maestro lombardo e i seguaci.
Di Alonzo Rodriguez (Messina, 1578 circa – 1648) si ammirano i dipinti San Pietro e San Paolo si incontrano sulla via del martirio, l’Incredulità di San Tommaso, la Cena in Emmaus, San Carlo Borromeo in preghiera e la monumentale Strage degli Innocenti. Di Mario Minniti (Siracusa 1577 – 1640) è il Miracolo della vedova di Nain, opera proveniente dalla chiesa di San Giovanni Battista del Collegio dei Gesuiti. Michelangelo Merisi da Caravaggio, a Messina dal 1608 al 1609, dipinge le due opere esposte che rappresentano il suo testamento spirituale prima della precoce morte: la Resurrezione di Lazzaro (1609), proveniente dalla Chiesa dei Padri Crociferi e commissionata dal mercante genovese Giovan Battista de Lazzari per 1000 scudi e l’Adorazione dei Pastori (1609) proveniente dalla Chiesa dei Padri Cappuccini, richiesta dal Senato messinese e pagata anch’essa 1000 scudi.
Rappresenta il secolo d’oro per l’arte messinese, con artisti di livello che interpretano con particolare perizia il naturalismo, il classicismo e il barocco. Fra tutti primeggia il rappresentante più colto della pittura classica a Messina, Agostino Scilla che, oltre che pittore, fu naturalista insigne e come tale nel 1690 scrisse un libro sui fossili marini intitolato La vana speculazione disingannata dal senso e divenendo, così, uno dei fondatori della moderna Paleontologia (studio degli esseri viventi vissuti nel passato geologico). Pregevoli, fra i tanti, sono i dipinti di Antonino Barbalonga Alberti (1601-1649), Pietà e Ritratto del Padre Francesco Maria Alberti, zio del pittore; Nunzio Rossi, Madonna della Lettera con i Santi Pietro e Paolo e veduta di Messina; Mattia Preti (1613-1699), Madonna della Lettera e Cristo deposto, detto il Cavalier Calabrese si formò su maestri caravaggeschi e a Napoli, col Battistello, eseguì le sue prime opere in perfetta aderenza al caravaggismo “tenebroso"; Domenico Marolì (1612-1676), Loth e le figlie e San Pietro d'Alcantara; Giovan Battista Quagliata (1603-1674), Natività della Vergine e Immacolata; Abramo Casembrot (1593 circa – 1658), Veduta di Messina. Di Agostino Scilla è il San Benedetto distrugge gli idoli (sec. XVII), proveniente dalla chiesa di San Paolo. La tela raffigura un episodio della vita di S. Benedetto, forse relativo alla costruzione dell'abbazia di Montecassino. Nel dipinto si vedono i frammenti di una statua antica: secondo una leggenda, infatti, sull'area dell'abbazia era sorto nell'antichità un tempio di Apollo, distrutto dai seguaci del dio dopo la loro conversione al cristianesimo. Interessante e pregevole è uno Stipo, opera di maestranze napoletane.
Il secolo XVIII vede a Messina l’operato continuo di esperti scultori che realizzano rivestimenti a tarsie marmoree policrome e altari per tantissime chiesa in città e in Sicilia. I pittori cominciano ad allontanarsi gradualmente dagli eccessi del Barocco per avviarsi verso la stagione del Neoclassicismo che caratterizzerà il secolo successivo.
Un esponente di spicco nella pittura è Giovanni Tuccari (1667-1743) di cui si ammirano Le nozze di Cana, Mosè salvato dalle acque e Ester ed Assuero. Fra gli altri artisti presenti, Placido Campolo (Messina, 1693 – Messina, 1743), Ambasceria della Vergine; Letterio Paladino (Messina, 1691-1743), Allegoria della Pace; Giuseppe Crestadoro (Palermo, 1711 – Messina, 1808), Immacolata e S. Alberto Carmelitano; Benedetto Luti (1666-1724), Attraversamento prodigioso dello Stretto di Messina di San Francesco di Paola nel 1464; Filippo Tancredi (1655-1722), Visitazione. Di Frate Ludovico Calascibetta da Petralia Sottana (? – 1729) è un pregevole Ciborio in legno di noce e vari, intagliati e intarsiati, e madreperla. La parte del leone la fa, però, la splendida Carrozza del Senato di Messina in legno intagliato da Domenico Biondo con scene dipinte da Letterio Paladino (1742). Una sontuosa berlina con finestre a vetri, montata su un traino di tre coppie di cavalli e sospesa su corregge di cuoio, usata durante le funzioni dai Senatori e da un mastro notaro in toga.
Periodo di ritorno al mondo classico, ad un’arte composta, misurata, verista senza eccessi ma tesa ad un equilibrio e ad un’armonia delle forme, ha a Messina fra i suoi rappresentanti più in vista Tommaso Aloysio Juvara che si distingue nel disegno e nell’arte incisoria, Letterio Subba e Michele Panebianco.
Di Letterio Subba (Messina, 1787 – 1868) si ammira L’istituzione della Compagnia dei Verdi ad ora che la pugna è in sul fitto della piazza Darsena (1840 circa), di Michele Panebianco (1806 – 1873), Gelone che accorda la pace ai vinti cartaginesi purchè non facciano più sacrifici umani (1850) che venne poi replicato nel sipario del Teatro S. Elisabetta oggi Vittorio Emanuele e di Luigi Di Giovanni (Palermo 1856 – 1938) la verista Piazza Duomo di Messina (1891). Esposte le litografie di Tommaso Aloysio Juvara (Messina 1809 – Roma 1875) e le sculture di Giuseppe Prinzi, Antonello da Messina con basco alla veneziana (1873); Francesco Antonio Franzoni (Carrara 1734 – Roma 1837), lastra monumento sepolcrale e Salvatore Buemi (1867 – 1916), Il supplizio di Tommaso Campanella (1891).