La Passeggiata dei Giganti a Messina

I Mitici fondatori della Città

La Passeggiata dei Giganti a Messina

Da oltre 800 anni le statue equestri colossali di Mata e Grifone passeggiano per la città, acclamati dai messinesi dei quali sono stati gli antichi progenitori.

La Passeggiata dei Giganti a Messina

La Leggenda

Dopo la creazione del Regno di Sicilia, tra Messina e Palermo nacque un’aspra rivalità per il titolo di capitale dell’isola e a sostegno delle loro ragioni, le due città esibivano titoli e prerogative. Avendo Palermo qualche prerogativa in più rispetto a Messina, i messinesi si appellarono al mito del Gigante Zanclo, primo re dei Siculi, inutilmente. La leggenda sulla nascita dei “Giganti” Mata e Grifone, mitici progenitori di Messina, narra che verso il 965 un gigantesco moro di nome Hassam-Ibn-Hammar sbarcò alla testa di numerosi pirati nelle vicinanze della città, iniziando a depredarla. Durante le sue scorrerie, vide a Camaro, Casale messinese, la bella Marta (dialettalmente “Mata”) figlia di un certo Cosimo II di Castellaccio e se ne innamorò perdutamente. I due erano però divisi dalla diversa religione, e, ottenuto un secco diniego dai genitori alla richiesta di matrimonio, Hassam decise di rapirla. Inutilmente cercò in tutti i modi di essere ricambiato del suo amore: Mata cedette soltanto quando il saraceno ricevette il battesimo e cambiò il nome in Grifone. Abbandonata la spada, si dedicò esclusivamente all’agricoltura, sposò la bella cammarota e mise al mondo, con lei, i primi messinesi.

LO SAPEVI CHE?

Fino agli anni ’30 del Novecento i Giganti furono trasportati a spalla, per poi essere montati su carrelli con ruote ed essere trainati con le corde da tiratori vestiti di bianco con la tradizionale “meusa” rossa in testa, oggi sostituiti da trattori.

La Storia

I Giganti, storicamente, sono figure allegoriche legate a un episodio avvenuto a Messina al tempo di Riccardo I duca di Normandia e re d’Inghilterra, meglio noto come “Cuor di Leone”. Il sovrano si trovava in città, in occasione della Terza Crociata, dal settembre 1190 all’aprile 1191, in un periodo in cui i greci erano potentissimi e angariavano i messinesi (latini). Malvisti da Riccardo, durante il suo soggiorno messinese ne fiaccò l’orgoglio facendo ampliare ed ulteriormente fortificare sulle alture della città un’imponente fortezza, dominatrice e intimidatorie dei greci: non a caso il castello ebbe il nome di “Matagriffone” (oggi Tempio-Sacrario di “Cristo Re”). L’allusione è evidente derivando, “Mata”, dal latino “mateare” (ammazzare) mentre “Grifoni” erano detti, nel Medio Evo e specialmente a Messina, i greci. Nella testa di Mata, infatti, è esaltata la “messinesità” sottolineata dal castello a tre torri, antico emblema cittadino. La testa di Grifone (opera di Andrea Calamech del 1581), invece, dai capelli incolti, la folta barba, lo sguardo truce e l’aspetto arcigno e selvaggio, la pelle scura, è quella di un greco vinto che è portato da Mata trionfatrice in stato di servitù.

Il Cammello

In dialetto messinese “’U Camiddhu”, il Cammello, come riferisce lo storico messinese Giuseppe Buonfiglio nel 1606 ricorda la vittoria ottenuta dal Conte Ruggeri, il quale fugati i Mori, entrò trionfante in Messina coi suoi soldati bagordando, e coi cammelli barbareschi carichi di spoglie”. Ma è più attendibile la versione per cui il quadrupede rappresenti gli esattori arabi quando riscuotevano le tasse, voraci com’è, appunto, il cammello. In antico, infatti, era sostenuto da due “bastasi” (facchini) così camuffati e l’animale apriva la bocca per ingoiare tutto ciò che gli capitava a tiro (il maltolto veniva riposto in un sacco che era legato tra i due portatori). Scrive il demologo palermitano Giuseppe Pitrè: “Ne erano essi senza un secondo fine, perché scopo forse non primitivo ed originario dello spettacolo era una questua, a memoria pei vecchi […] per fondaci e botteghe, nella quale pane, carne, salame, frutta ed altro veniva, senza tanti complimenti, preso in bocca dal finto dromedario e messo insieme”. La rapacità del Cammello fu talmente proverbiale che ancora oggi a Messina, far man bassa e prendere tutto, si dice “Fari comu 'u Camiddhu” (Fare come il Cammello).

(Foto di Roberto Principato)

     

Messina